Giacomo Martini – Luca Rolandi, Danilo Dolci, la via pacifica al cambiamento – In cammino da Sezana, Pozzolo Formigaro, Nomadelfia e Trappeto al mondo

 12,50

Con il sostegno e il patrocinio del Comune di Pozzolo Formigaro (AL).

Descrizione

Dalla presentazione di Pietro Polito, Direttore Centro Studi Piero Gobetti Torino

Attraverso il racconto essenziale ma puntuale di una esperienza straordinaria e unica, questo libro consente a chi lo leggerà di “riscoprire un uomo come Danilo Dolci, sociologo e pedagogo, operatore di pace e profeta non violento nella terra più colpita dalla mafia, la Sicilia”. Con le parole di chi lo ha apprezzato e gli è stato amico: “un uomo che ha fiducia, che fa fiducia negli altri e fa sorgere la fiducia intorno a sé” (Carlo Levi), “un uomo semplice in un mondo complesso” (Benedetto Zanone); “un uomo buono” (Franco Alasia); con le sue stesse parole: “un vero uomo” che, “vedendo un bambino che sta annegando, anche se non sa nuotare deve gettarsi in acqua per cercare di salvarlo, perché se il bambino annega, scomparirà anche lui”.

I contributi compresi nel volume

  1. Il rapporto con la religione: da un lato, per Carlo Bidone, “la sua è stata una lotta in favore delle classi più umili… in nome della parola eternamente valida del Vangelo”, dall’altro, per Franco Alasia, egli “fu un autentico spirito religioso… non nel senso confessionale; ma col particolare significato che gli dava Aldo Capitini: religione è una libera aggiunta”. (Una pista da esplorare è il rapporto con Agape e il mondo protestante);
  2. La nonviolenza: “La novità del pensiero di Dolci, ancora attuale, è nell’aver condotto la Resistenza senza sparare cioè liberandola non solo dalla violenza fisica che aveva trovato nel leninismo la sua legittimazione, ma anche dalla violenza culturale, quella che è il limite mortale della democrazia nell’età dei mass-media” (Luca Rolandi);
  3. L’utopia concreta: “la sua fu una vita vissuta con l’atipicità di un intellettuale scomodo che, cercando di tradurre l’utopia in concretezza, ha influenzato almeno due generazioni di operatori sociali, educatori, scrittori” (Giacomo Martini). A coloro che lo accusavano di essere un sognatore, un utopista, Danilo era solito replicare:” Sono uno che cerca di tradurre l’utopia in un progetto”.

La peculiarità di Dolci sta nel suo essere un intellettuale poliedrico che ha saputo coniugare la riflessione teorica e la creazione poetica con l’impegno civile. In seguito all’esperienza nella comunità di Nomadelfia, fondata da don Zeno Saltini, con una scelta radicale di vita “questo uomo settentrionale” si è fatto “un meridionale tra i meridionali, un siciliano tra i siciliani” (Antonio Renda), dando vita a una delle esperienze più significative per il riscatto civile e sociale del Mezzogiorno, occupando un posto in prima linea nella lotta alla mafia. I suoi libri-inchiesta costituiscono un inestimabile e ancora inesplorato repertorio documentario dell’Italia meridionale del dopoguerra.

La non violenza

Colpisce la varietà e la creatività delle forme di lotta e d’impegni che caratterizza l’esperienza etica e politica di Dolci in Sicilia. Basti ricordare alcune azioni nonviolente esemplari: il digiuno individuale; il sostegno all’obiezione di coscienza (ma Dolci preferisce parlare di “azione di coscienza” perché non basta dire no ma occorre produrre alternative); lo sciopero alla rovescia. Il suo metodo di lavoro è, per Capitini, “un approfondimento della terza via”, nel senso che il nuovo metodo non va confuso né con l’opera del benefattore né con l’impegno dell’agitatore sindacale. Si tratta, invece, di una nuova forma di opposizione sociale che da un lato s’ispira al “valore del metodo della purezza e della ‘esattezza’”, dall’altro prefigura “un nuovo e incisivo modo di vivere la religione e la politica”.

Oltre che sull’indagine sociale, il metodo di Dolci si fonda su un insieme di valori e di concetti politici riconducibili nel grande alveo del pacifismo e della nonviolenza. Centrali nella sua riflessione sono da un lato il concetto e il valore della pace, dall’altro l’idea di una rivoluzione nonviolenta.

Detto in breve, la rivoluzione vagheggiata da Dolci è “la rivoluzione contro il Dio delle zecche e i suoi accoliti” e mira ad eliminare definitivamente i mezzi (violenza, guerra, terrorismo, pena di morte) con i quali è stata edificata (finora) la storia umana.

La comunicazione di pace

L’alternativa nonviolenta si precisa in Dolci in una teoria della comunicazione, concepita non come un processo di trasmissione delle conoscenze da chi sa a chi non sa bensì fondata sulla maieutica reciproca. Il presupposto iniziale è la critica della comunicazione di massa nonché la chiarificazione di confusioni interessate come quella tra potere e dominio (“il dominio è potere malato”). Alla scuola unidirezionale, trasmissiva, Dolci oppone la scuola comunicativa, “una scuola di educatori realmente comunicanti”. Se “il trasmettere può essere violento o nonviolento, inquinante o no” al contrario, “il comunicare essenzialmente è sincero o nonviolento, pure quando conflittuale”.

Sinteticamente, la meridionalità, l’impegno sociale, la riflessione politica, la creazione poetica, la ricerca pedagogica sono facce interconnesse dell’ideale di un nuovo umanesimo: “riuscire a formare una società essenzialmente maieutica” e di un medesimo atteggiamento mentale che è quello dell’”utopista concreto”. Come ha osservato Norberto Bobbio, Dolci appartiene alla ristretta schiera di intellettuali che non accettano la distinzione tra il predicare e il fare: “La buona predica doveva risultare dalla buona azione”.

Il pensiero e l’azione di Dolci nella varietà degli approcci conoscitivi e degli impegni pratici si ispirano “all’urgenza utopica di una città terrestre in ricerca creativa del suo fine in contrapposizione alla frammentata e velenosa città delle zecche”. Egli sa perfettamente che l’utopia può diventare pericolosa quando astrattamente si trasforma nella pretesa di “imporre presunte perfezioni” e con la sua vita e il suo impegno ci ha insegnato che un’utopia è buona solo se la si può tradurre in un progetto, solo se, nonostante l’apparente contraddizione, è “utopia concreta”.

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