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Figliolo mio, ecologista immaginario

Un pensiero costante nei giorni di “Portici di carta”, un mese fa a Torino, e oggi confermato da nuove osservazioni.

Il libro di Franco Luigi Carena “PAN” è forse arrivato troppo presto rispetto alla generale crescita dell’attenzione per il problema ambientale; possiamo pensare che la sua energia si sia aggiunta alla mobilitazione delle coscienze per questa Terra, per l’uomo e per gli altri esseri che la abitano.

http://www.edizionimille.eu/catalogo/carena-pan-let-us-save-the-earthsalviamo-la-terra-mille/
In questa opera sono raccolti con meticolosità e visione globale tutti i temi all’ordine del giorno: quasi un vocabolario dei mali del pianeta. Ma anche l’incoraggiamento a guardare ad alcune delle persone che hanno dato l’esempio per difendere la Natura, per vivere in pace con l’ecosistema.
 
La peculiarità del pensiero di Carena sta nella proposta di tornare a vivere nella consapevolezza di essere un tutt’uno con la vita, che si manifesta nel nuoto di un delfino o nello sviluppo di una foresta. Da qui il suo richiamo al mito di Pan, metà uomo e metà animale, per visualizzare l’empatia verso ciascun essere vivente. E poi lancia un invito provocatorio a tornare “nudi”, nella coscienza e nel corpo, per sentire su di noi e per comunicare agli altri la mitezza del vivere.
 
Questo pensavo a ridosso della fiera libraria.
 
Oggi la mia sensazione è che la generale attenzione all’ambiente segua il ciclo dettato dagli eventi e gestito dai mass media, mentre occorrerebbe che diventasse attenzione quotidiana di tutti. Non ci torna in mente mentre si decide se e come intervenire per le piogge torrenziali inabituali, per l’acqua alta, per ridurre l’immissione di plastiche e l’emissione di fumi cancerogeni, per modificare le abitudini alimentari… Di Greta nessuno parla più, se non per tardive quanto miserevoli denigrazioni.
 

Questo libro di Franco Carena, per il fatto di essere come una “enciclopedia” dei mali del pianeta, impietosa nel mostrarci i rischi e i punti di non ritorno per la nostra stessa sopravvivenza, potrebbe diventare il vademecum personale per verificare ordinariamente (e non sull’onda di emozioni fuggevoli) il nostro grado di attenzione alle generazioni future.

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